Fac-simile di lettera di licenziamento per superamento del periodo di comporto

Modello fac-simile per la redazione di una lettera di licenziamento per superamento del periodo di comporto. Il periodo di comporto è un periodo di tempo durante il quale il dipendente, assente per malattia o infortunio, ha il diritto alla conservazione del posto di lavoro. Decorso tale periodo, previsto dalla legge o dalla contrattazione collettiva, l’imprenditore ha diritto di recedere dal contratto, come previsto dall’art. 2110, comma 2 c.c. Compila e scarica subito la nostra lettera fac-simile di licenziamento personalizzata!
"Bello ma ci sono ancora pochi contratti!"
Luca N.
Ultimo
aggiornamento
09/02/2021
Quantità
pagine
1-2 pagine
Tempo di
compilazione
5 min

QUALE ESIGENZA SODDISFA IL MODELLO DI LETTERA DI LICENZIAMENTO PER SUPERAMENTO DEL PERIODO DI COMPORTO?

Sei un datore di lavoro e vuoi licenziare un dipendente per aver superato il periodo di comporto?

Il nostro modello di lettera di licenziamento per superamento di periodo di comporto ti consente di comunicare al dipendente la tua volontà di interrompere il rapporto in quanto la malattia si è protratta oltre il limite previsto dalla contrattazione collettiva e/o dalla legge.

NATURA GIURIDICA DELLA LETTERA DI LICENZIAMENTO PER SUPERAMENTO DEL PERIODO DI COMPORTO

L’art. 2110 c.c., secondo comma, dispone che l’imprenditore può recedere dal contratto, e quindi licenziare il lavoratore, nel caso in cui l’assenza per malattia superi un periodo (c.d. “periodo di comporto”) stabilito dalla legge, dai contratti collettivi, o in via residuale, dagli usi.

Nella maggior parte dei casi, è la contrattazione collettiva a stabilire la durata del periodo di comporto.

Solo per gli impiegati, la legge stabilisce il periodo di comporto, fissandolo in 3 mesi se l’anzianità di servizio è inferiore a 10 anni, e a 6 mesi se invece tale anzianità è superiore a 10 anni.

Solitamente, i contratti collettivi prevedono un periodo di comporto che cresce al crescere dell’anzianità di servizio e della qualifica.

I contratti collettivi prevedono due tipi di comporto:

  • comporto secco: da intendersi come il numero massimo di giorni consecutivi di assenza per malattia (con riferimento dunque a un unico evento di malattia);
  • comporto per sommatoria: da intendersi come la somma del numero massimo di giorni di assenza per malattia in capo a un lavoratore in un determinato arco temporale (quindi, ci si riferisce ad una pluralità di malattie ripetute nel tempo). Se il CCNL non prevede un comporto per sommatoria, sarà il giudice di merito adito per l’impugnazione del licenziamento a stabilirlo in via equitativa.

I contratti collettivi, inoltre, possono prevedere la possibilità per il lavoratore di chiedere, prima del termine del comporto, un periodo di aspettativa non retribuito (e senza decorrenza dell’anzianità di servizio, che invece durante il comporto decorre normalmente).

Il lavoratore può anche, tramite una richiesta scritta da presentarsi prima della scadenza del periodo di comporto, chiedere che l’assenza per malattia si converta in assenza per ferie. In questo modo il periodo di comporto viene interrotto. Il datore di lavoro può però rifiutarsi di convertire il periodo di malattia in periodo di ferie, purché dimostri di aver tenuto in considerazione il diritto fondamentale del lavoratore alla conservazione del posto di lavoro, nonostante abbia dato prevalenza e precedenza alle esigenze organizzative e produttive dell’azienda.

Decorso il periodo di comporto, se l’assenza si protrae ulteriormente, il datore di lavoro può licenziare il dipendente senza dover dimostrare l’esistenza della giusta causa o del giustificato motivo.

È comunque necessario il preavviso.

Il datore di lavoro, tuttavia, non può licenziare il lavoratore che si è assentato oltre il periodo di comporto se la malattia si è verificata a causa dell’ambiente di lavoro nocivo, poiché tale evento dipenderebbe in parte dal datore di lavoro che non ha provveduto a prevenire o eliminare il fattore di rischio. Ad esempio, ciò può avvenire nel caso in cui non siano state adottate tutte le misure di sicurezza necessarie, oppure qualora la malattia derivi da una situazione di stress psico-fisico ricollegabile a comportamenti mobbizzanti. Ad ogni modo, il lavoratore ha l’onere di dimostrare il nesso causale tra la malattia e le mansioni.

Una volta superato il periodo di comporto, il datore di lavoro può ancora procedere al licenziamento anche qualora il lavoratore rientri in servizio, poiché l’accettazione della prestazione non comporta rinuncia al potere di recesso. Tuttavia, il recesso deve essere tempestivo: il giudice chiamato ad esprimersi sull’eventuale contenzioso potrebbe interpretare l’aver fatto trascorrere un tempo troppo lungo dal superamento del periodo di comporto come rinuncia al diritto.

Secondo l’orientamento prevalente, mentre nel licenziamento disciplinare vi è l’esigenza della immediatezza del recesso, volta a garantire la pienezza del diritto di difesa all’incolpato, nel licenziamento per superamento del periodo di comporto, il datore di lavoro può recedere dal rapporto non appena terminato il periodo di comporto, ma ha, altresì, la facoltà di attendere la ripresa del servizio per sperimentare in concreto se residuino o meno margini di riutilizzo del dipendente all’interno dell’assetto organizzativo dell’azienda.

Solo a decorrere dal rientro in servizio del lavoratore, l’eventuale prolungata inerzia datoriale può essere oggettivamente sintomatica della volontà di rinuncia al licenziamento e può ingenerare un corrispondente affidamento in buona fede del dipendente sulla prosecuzione del rapporto (Cass. 24739/2017).

DISCIPLINA GIURIDICA DEL LICENZIAMENTO PER SUPERAMENTO DEL PERIODO DI COMPORTO

  • infortunio, malattia, gravidanza, puerperio (art. 2110 c.c.);
  • CCNL di settore;
  • licenziamento e conseguenze in caso di licenziamento illegittimo (art. 18 Statuto dei Lavoratori e D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 23).

FIGURE AFFINI AL LICENZIAMENTO PER SUPERAMENTO DEL PERIODO DI COMPORTO

Il licenziamento per superamento del periodo di comporto si differenzia dal licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giusta causa.

Il lavoratore non può mai essere licenziato durante il periodo di malattia, se non per ragioni inerenti “all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa” (e quindi per giustificato motivo oggettivo) oppure per giusta causa.

Ad esempio, integra giusta causa di licenziamento il rifiuto del lavoratore di sottoporsi alla visita di controllo o alla visita fiscale, la violazione del dovere di non compromettere il recupero del proprio stato di salute, oppure, infine, l’allegazione di una malattia simulata e inesistente.

FORMALITÀ

La lettera di licenziamento per superamento del periodo di comporto può essere:

  • consegnata a mani al dipendente durante l’orario di lavoro;
  • spedita a mezzo raccomandata A/R.

Non è ammessa la forma orale.

Secondo la giurisprudenza, il datore di lavoro non è tenuto a comunicare al lavoratore l’imminente scadenza del comporto e, ai fini della legittimità del licenziamento, non rileva la mancata conoscenza da parte del lavoratore dell’avvicinarsi del predetto termine (Cass. 11314/2015).

Il datore di lavoro non è tenuto a specificare i singoli giorni di assenza, potendosi ritenere sufficienti indicazioni complessive, purché idonee ad evidenziare un superamento del periodo di comporto in relazione alla disciplina contrattuale applicabile, come l’indicazione del numero totale delle assenze verificatesi in un determinato arco temporale, fermo restando l’onere, nell’eventuale sede giudiziaria, di allegare e provare compiutamente i fatti costitutivi del potere esercitato (Cass. 284/2017; Cass. 20761/2018).

Tuttavia, qualora l’atto di intimazione del licenziamento non precisi le assenze in base alle quali sia ritenuto superato il periodo di conservazione del posto di lavoro, il lavoratore ha la facoltà di chiedere al datore di fornire specificazioni a riguardo, con la conseguenza che, nel caso di inottemperanza da parte del datore di lavoro, il licenziamento deve considerarsi illegittimo (Cass. 18196/2016; Cass. 5752/2019).